2.3 IL POVERO “OZIOSO”

Da un punto di vista economico con il Mille  e soprattutto gli anni che vennero a seguire, si assiste a un notevole risveglio e desiderio di rinnovamento, grazie al rifiorire degli scambi commerciali, che favorirono non solo il, settore agricolo ma anche quello artigianale.
Si riscontra anche un forte aumento demografico che può essere letto diversamente in due fasi successive. Nella prima si assiste ad un sostanziale connubio con la ripresa economica, dal momento che “nuove braccia disponibili” permettono di dissodare e bonificare paludi. Anche il rapporto tra chi possiede le terre e chi le lavora muta, ma solamente da un punto di vista formale: ora il contadino non è più servo della gleba ma diventa colono, mantenendo così le medesime ingiustizie  sociali  e  lavorative  che  vincolano  la  persona  al
proprio padrone.
Con il tempo l’aumento demografico si dimostra così un elemento decisamente frenante per l’economia, dal momento che la risposta viene a superare di gran lunga  la domanda e la disponibilità lavorativa. La miseria e la povertà tornano ad essere un vero e proprio dramma  in età tardomedioevale.
Queste masse svantaggiate e disagiate destano paura e il povero non è più certo segno di benedizione divina, ma piuttosto di colpa e maledizione. Si ritorna quindi ad un’antica distinzione, già presente in epoca romana, tra povertà “involontaria”, propria di chi con certezza non è in grado di lavorare (anziani, handicappati) e meritevole di essere soccorsa dallo Stato, e la povertà volontaria. A questa fanno parte tutti coloro abilitati al lavoro ma troppo oziosi nel farlo. E’ quindi questa che viene severamente punita, anche legalmente, e denigrata.