Da un punto di vista economico con il Mille e soprattutto
gli anni che vennero a seguire, si assiste a un notevole risveglio e desiderio
di rinnovamento, grazie al rifiorire degli scambi commerciali, che favorirono
non solo il, settore agricolo ma anche quello artigianale.
Si riscontra anche un forte aumento demografico che può
essere letto diversamente in due fasi successive. Nella prima si assiste
ad un sostanziale connubio con la ripresa economica, dal momento che “nuove
braccia disponibili” permettono di dissodare e bonificare paludi. Anche
il rapporto tra chi possiede le terre e chi le lavora muta, ma solamente
da un punto di vista formale: ora il contadino non è più
servo della gleba ma diventa colono, mantenendo così le medesime
ingiustizie sociali e lavorative che vincolano
la persona al
proprio padrone.
Con il tempo l’aumento demografico si dimostra così
un elemento decisamente frenante per l’economia, dal momento che la risposta
viene a superare di gran lunga la domanda e la disponibilità
lavorativa. La miseria e la povertà tornano ad essere un vero e
proprio dramma in età tardomedioevale.
Queste masse svantaggiate e disagiate destano paura e
il povero non è più certo segno di benedizione divina, ma
piuttosto di colpa e maledizione. Si ritorna quindi ad un’antica distinzione,
già presente in epoca romana, tra povertà “involontaria”,
propria di chi con certezza non è in grado di lavorare (anziani,
handicappati) e meritevole di essere soccorsa dallo Stato, e la povertà
volontaria. A questa fanno parte tutti coloro abilitati al lavoro ma troppo
oziosi nel farlo. E’ quindi questa che viene severamente punita, anche
legalmente, e denigrata.