6.2 ALTRUISMO E VOLONTARIATO A CONFRONTO

Tra i criteri comunemente utilizzati per definire l’azione volontaria, occupa un posto di rilievo quello della gratuità, intesa in senso negativo come assenza di retribuzione per le prestazioni del volontariato ed in senso positivo come atteggiamento etico che privilegia il fine solidaristico ed altruista rispetto a quello utilitarista.
I volontari devono continuamente chiedersi perché fanno certe cose, perché dedicano tanto tempo all’azione gratuita, in fondo devono chiedersi “chi glielo fa fare ?”. Questa esigenza è reale sia per chi non ha ancora deciso di operare nel sociale, sia per quanti sono già impegnati da anni in un certo cammino.
Da più parti, e non da oggi, si mette in dubbio l’esistenza di un modello di gratuità assoluta e si dà quasi per scontato che solo una gratuità “sui generis”, legata ad una certa retribuzione, sia di fatto delegabile e compatibile con l’azione volontaria.
I dubbi sul concetto di gratuità si intrecciano  necessariamente
con una serie di riflessioni e teorie, concepite a più livelli, sul significato che assume il persistere e spesso il diffondersi, di comportamenti altruistici, non utilitaristici, in una società come la nostra dominata dal modello contrattuale (F. Busnelli, 1995, p. 1).

A questo proposito è opportuno considerare cosa si intenda precisamente per altruismo e quali siano le principali teorie a riguardo poste poi in relazione con la realtà del volontariato.
L’altruismo in quanto termine psicologico, è la disposizione a vivere per gli altri,  opposta all’egocentrismo, ossia è la disinteressata attenzione per il benessere altrui.
(D. G. Myers, 1986, p.222)
Sul perché si aiutano gli altri invece, le teorie sono molteplici e controverse, tra cui le più evidenti sono le seguenti:

Teoria Psicologica

La teoria dello scambio sociale

Teoria sociobiologia