Il volontariato si configura oggi come una nuova area
culturale, sorta da cause molteplici identificabili in situazioni e scelte
culturali, economiche e sociali diverse.
Se la continua persistenza delle povertà e il
progressivo indebolimento del Welfare State hanno contribuito ad un impegno
sempre più solido e strutturato del volontariato, non bisogna certamente
sottovalutare la sua dichiarata attenzione “all’umano”, alla persona, piuttosto
che all’ordine sociale, ricercato nelle epoche passate.
Si tratta quindi di creare nella mentalità una
nuova etica, un’etica della “relazionalità” capace di scoprire un
nuovo rapporto tra diritti e bisogni, quel rapporto solidale che permetta
di sacrificare qualche bisogno per realizzare qualche diritto in più.
Questo rapporto solidale può assumere i caratteri
dell’individualità come quelli della collettività, non perdendo
alcuna delle sue caratteristiche peculiari. C’è da dire però
che in questa sede verrà più specificatamente trattata quell’azione
volontaria attuata mediante gruppi, associazioni, movimenti, tuttora identificabili
con il nome di “volontariato organizzato”. Questo tipo di volontariato,
che trova la sua collocazione in quelle libere espressioni della società
civile, cui si riferisce la nostra Costituzione (art. 3), è andato
via via maturando rivestendo ruoli sempre più definiti. Nell’ultimo
secolo di storia italiana si è potuto assistere ad un graduale cambiamento
dell’intervento volontario, che si è strutturato in forme continuative
e personalizzate, capace di rispondere ai bisogni emersi sul territorio
in modo creativo, flessibile e non burocratico, sperimentando e anticipando
anche un nuovo modo di intervento sociale (Sandra Rocchi, 1993, pp. 39-41).