Dopo aver percorso i tratti essenziali della storia assistenziale
e riflettuto sulla sua evoluzione si è potuto cogliere elementi
costanti e di mutamento sia nella concezione del povero e delle povertà,
sia negli interventi ad essi riferiti. Una cosa però non è
cambiata poichè si può constatare come, al di là dei
diversi nomi con cui è stata denominata, la povertà non sia
stata sradicata né dall’intervento borghese, né dal moderno
Welfare State. Basti considerare quanto siano ancora pesantemente attuali
le situazioni di degrado e sottosviluppo nel nostro paese e nel mondo.
La povertà nelle sue diverse accezioni e valenze sopravvive
ad ogni intervento poliziesco o di contenimento tale da delinearsi in due
aspetti di continuità, presenti in ogni epoca e in ogni cultura
assistenziale: la mancanza di autonomia del povero e la sua mancanza di
appartenenza.
Da sempre il povero è dipeso, per la sua sopravvivenza
da qualcun altro, sia esso il padrone o il benefattore e da sempre è
vissuto in quell’estraneità dallo Stato che lo ha reso figura marginale.
Solo ora risulta evidente il ruolo del volontariato
che si pone proprio accanto a quei “marginali”, esclusi dalla società,
cercando di operare in questa determinata epoca storica un intervento capace
di cooperare e partecipare con le iniziative statali.
La nuova logica che si vuole far emergere e realizzare
è la logica dell’integrazione non solo del diverso nella società,
ancor prima, dell’intervento privato in quello pubblico, in modo da poter
affermare quei diritti finora negati e di negare le differenze fino ad
ora affermate.